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The political side of the Russian military withdrawal

The urging launch of the political solution process in Syria seems to be at the top priority of both Moscow and Washington.  To achieve such process, both countries have already integrated a ground bases for this political solution by having two important UN resolutions: “to stop financing terrorism” and “to impose a political settlement”. On the practical side, the process included some essential steps like preparing the lists of terrorist groups, and then applying the cease-fire.

The Obstacles encountered negotiations in Geneva have forced the international powers (US and Russia) to seek some effective tactics in order to remove these obstacles and start the political process. Therefore, all the parties of the Syrian crisis should be subjected to pressure by its own ally. According to many observers, the US has put a lot of pressure upon its own allies which logically would urge Russia to do the same with its own allies to transfer the UN resolution from theory to application.

Consequently, most of the current political developments can be linked to the wish of the international community to make all the parts of the Syrian crisis ready to accept the obligatory option of “Political solution”. The Russian partial military withdrawal, for example; can be viewed from this prospective, especially that after five months from the Russian military intervention the environment for political solution seems to be much better than before, from limiting the expansion of ISIS, to changing the map of power on the ground, to draining the terrorist risks that can lead to chaos and Ending up in imposing cease fire and reconciliation among Syrian social components. Thus, identifying the HOW and WHEN of the Russian step shows that this step has a political message behind. It is eligible to remember that Russia has kept its strong military presence to serve under the umbrella of fighting terrorism, and it also maintained its two military bases on the Syrian coast and the Mediterranean. Accordingly, the way this decision was announced shows that behind this decision there is a hidden message to all parts on the international, regional and Syrian Level. Apparently, Moscow has achieved the aim where the political solution process can be launched, but it is still not interested in changing the power map for the interest of any group. However, everybody should assist in launching the political process that was agreed on in Geneva I.

Trying either to confront the UN resolution, or to impose a vision of one group would lead to negative impacts, and will simultaneously make, for those who work against the political process and the region, new challenges that cannot be faced easily.

Dr. Amer Al Sabaileh

LA TRAPPOLA DI TRIPOLI

LA TRAPPOLA DI TRIPOLI

Secondo indiscrezioni interne la nostra intelligence sta preparando varie opzioni di intervento che devono obbligatoriamente considerare i maggiori fattori di rischio per una missione in Libia con truppe di terra.

Tripoli e le zone limitrofe vengono gestite dal governo locale con una apparente normalità, nelle principali città, le amministrazioni locali permettono una vita sociale con stabilità, ma è difficile capire chi comanda davvero.
Khalifa Al Ghwell governa supportato da una propria milizia con l’appoggio esterno della Fratellanza Musulmana e con i berberi di Zuwarahi, ma non è solo al comando, c’è anche Hashim Bishr con la sua numerosa polizia privata in grado di spostare a suo piacimento le alleanze ed i rapporti di forza in Tripolitania.
Infine, c’è Abdul Raouf Kara, uomo forte dell’ area, rigido
salafita e nemico di Daesh, a capo di una significativa milizia “la rada Forces ” letteralmente (forze di deterrenza) .
Sono questi tre uomini che determinano la stabilità in relazione ai propri interessi, e con loro occorre trovare un solido accordo prima di entrare nel territorio libico.
Le città intorno a Tripoli sono invece ostaggio delle varie tribù, formalmente alleate, ma sempre pronte a rinnegare ogni patto per procedere singolarmente con attività militari che possono creare vantaggi.
Infine, problema non trascurabile l’unico aeroporto utilizzabile è quello di Mitiga, controllato da Kara, quindi
un’intesa con lui diventa una priorità assoluta.

 

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DAESH IN LIBIA

DAESH IN LIBIA

Attualmente in Libia sono presenti dai 4200 ai 4600 uomini dello stato islamico, quasi tutti di nazionalità tunisina quindi profondi conoscitori del territorio e delle odierne dinamiche sociali libiche.

Ci sono invece dai 23000 ai 27000 uomini organizzati in bande criminali che, disinteressandosi del lato politico, diventano fiancheggiatori dei terroristi a seconda delle convenienze.
In questa ottica alcune attività vengono appaltate da Daesh alla criminalità organizzata.
Inoltre, da Sudan, Nigeria e Mali, si stanno spostando numerosi uomini aderenti alla jihad del centro Africa per unirsi a Daesh dietro compenso economico.
Il numero di queste nuove forze terroristiche è quantificabile per difetto in 2500/3000 unità. 
Questi sono i numeri per quanto riguarda la stabilità del paese possiamo considerare che la sicurezza interna è totalmente fluida ed in divenire, alcuni giorni il controllo del territorio è stabilmente nelle mani di una compagine, altri giorni 
no, la sicurezza della viabilità è quindi inesistente, anche percorrere 50 kilometri da Sabratha verso Tripoli può considerarsi un ‘ impresa impossibile.
In questo scenario una missione a guida italiana rappresenta un azzardo strategicamente poco utile.
Occorre, prima di pensare qualsiasi intervento, cercare con azioni di intelligence un accordo globale con tutte le fazioni in campo che di fatto combattono Daesh senza escludere nessuno.
Nelle prossime settimane gli auspicati accordi devono essere portati a termine altrimenti l’Italia sarà inutilmente esposta a rischi senza ottenere alcun risultato stabilizzate.

 

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ATTACCO GLOBALE

ATTACCO GLOBALE

La battaglia della notte nella capitale del Burkina  Faso conferma le preoccupazioni delle scorse settimane.
Il terrorismo di matrice islamica oltre a globalizzare propaganda e azioni a basso impatto è  riuscito a creare un vero e proprio net per il cosiddetto terrorismo molecolare che, anche se solo ispirato, riesce autonomamente ad organizzare attentati ovunque.

La tattica utilizzata ad Ouagadougon ricalca le azioni dei talebani in Afganistan, si fanno esplodere due o tre macchine per distogliere  l’attenzione dall’obiettivo e, mentre arrivano i primi soccorsi, si entra in azione con piccoli team armati, in genere con fucili d’assalto.
L’effetto sorpresa gioca un ruolo determinante anche se oggi parlare di sorpresa è  ridicolo, siamo tutti ovunque bersagli soprattutto nei luoghi di aggregazione per stranieri.
Applicare i protocolli standard di difesa passiva contro le azioni terroristiche deve diventare un obbligo dottrinale, come per esempio il divieto di far parcheggiare le auto accanto ad un edificio classificato sensibile.
Nei prossimi mesi sono prevedibili attacchi in Italia nei centri commerciali ed in Australia, proprio per dimostrare la capacità di saturazione dello scenario internazionale da parte dei gruppi jihadisti. 
Nel nostro Paese le misure di difesa sono attive e di alto livello e dobbiamo, quindi, non cedere alla paura indiscriminata che comprime le libertà  personali dei cittadini.
Per fronteggiare, poi, l’attuale crisi in nord-Africa,  l’Aeronautica Militare Italiana ha spostato da Istrana a Trapani quattro cacciabombardieri Amx che, insieme agli Eurofighter già basati nell’aeroporto siciliano, rappresentano il gruppo di intervento nella prevista missione in Libia.

 

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NON CHIAMIAMOLO STATO

NON CHIAMIAMOLO STATO

Non chiamiamolo Stato, non lo è, non chiamiamoli combattenti sono solo assassini, utilizziamo un linguaggio settoriale che a livello semantico riduca la popolarità di questo N.I.S. (Non Stato Islamico) perché io lo chiamerò non stato islamico e lo scriverò sempre minuscolo.

Si dice in questi giorni che il terrorismo sia figlio delle periferie degradate del nord Europa, delle carceri disumane di Francia e Belgio, delle troppe guerre ingiuste combattute nel mondo, della mancata integrazioni degli immigrati di seconda e terza generazione, della non accettazione della religione Islamica che si professa moderata.

Forse si, le situazioni descritte sono concause residuali di un problema che deve però, essere affrontato con un diverso pragmatismo.

C’è chi prega e c’è chi spara.

Chi prega, liberamente pratica la propria religione.

Chi spara su civili al ristorante, al bar, al teatro è solo un assassino che esercita la violenza su uomini e donne disarmati e indifesi strumentalizzando alla politica la propria fede religiosa.

La situazione è questa non servono ulteriori particolari valutazioni, non serve invocare l’indignazione dell’Islam moderato, moderato, poi, per chi per cosa.

 L’islam è uno e come tutte le altre religioni monoteiste non si può considerare una confessione che accoglie in se, anche se con diverse interpretazioni, gli assassini e i pacifisti.

Usciamo dall’equivoco, dagli assassini ci si difende, tutto il resto è retorica.

 

Con gli assassini si utilizza l’intelligence , quella vera, quella che in silenzio e nell’ombra bonifica i quartieri delle capitali Europee, quella che non si vede in TV, quella che purtroppo non c’era a Parigi e Bruxelles.

 

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LA FRANCIA SOTTO ATTACCO

LA FRANCIA SOTTO ATTACCO

In una Europa senza univoche strategie di prevenzione al terrorismo la Francia subisce un attacco senza precedenti con un bilancio di oltre 100 morti e numerosissimi feriti.

I fatti li abbiamo visti tutti sui media e ricalcano le tattiche di guerriglia dei palestinesi di alcuni mesi fa in Israele, naturalmente con altri mezzi e altri danni. Gli attacchi sono preceduti da un forte orientamento all’odio attraverso il web, l’azione è sincronizzata su varie zone della città in  obiettivi non sensibili e a basso impatto politico, quindi non vengono scelti luoghi presidiati,  ma posti dove si aggrega la gente comune per rilassarsi, ristoranti,teatri, lo stadio. La missione è fare più vittime innocenti possibili in poco tempo per inoculare nella popolazione il condizionamento al terrore. 
I terroristi avevano certamente un buon addestramento basico all’uso delle armi e comunque votati al martirio, certamente combattenti di ritorno dalle aree di crisi e  totalmente indottrinati alla jihad.

Perché ancora Parigi perché ancora la Francia, perché semplicemente è la nazione europea maggiormente infiltrata dall’integralismo islamico, è il paese che più di altri è stato ed è territorio europeo di reclutamenti del califfato ed è inoltre la location dove, da oltre 10 anni, si predica, nelle periferie abbandonate, il diritto  degli islamici di terza  generazione ad uccidere i cosiddetti infedeli.

Non dimentichiamo la battaglia parigina delle banlieu dove migliaia di giovani immigrati francesi di religione islamica, per giorni, hanno combattuto una vera e propria guerriglia urbana con le forze dell’ ordine in una zona franca, diventata negli anni l’ humus ideale per reclutare uomini e donne da arruolare nell’ esercito del califfato.
Su Parigi incombe poi anche una storica alleanza di più gruppi terroristici jihadisti che riescono, con grande facilità, a coordinarsi ed ad agire quasi indisturbati in Francia, facendo leva emotiva proprio dalle azioni di politica estera interventista che il governo transalpino ha in medio oriente, nel Magreb e nel centro Africa. Questi, in sintesi, i motivi di un attacco annunciato che completa nel venerdì di preghiera arabo i precedenti attacchi agli sciiti in Siria, Iraq e giovedì in Libano con oltre 40 morti. Sigillare le frontiere diventa ormai necessario almeno  per monitorare gli ingressi e le uscite .
Bisogna uscire dalle retorica buonista, che paralizza le necessarie risposte repressive europee,  ed esercitare un vero controllo di intelligence sull’ espansione dell’ Isis e degli altri gruppi, basta con le chiacchiere inutili che ci raccontano che occorre comprendere i motivi  delle azioni terroristiche, occorre impedire fisicamente nuovi attacchi, occorre fermare l’ espansione di Daesh in Siria ed Iraq , occorre una strategia comune di intelligence per mettere in sicurezza l’ Europa, occorre coinvolgere attivamente la Russia in questo percorso, altrimenti ci troveremo ancora a piangere vittime innocenti.

 

 

(immagine tratta da www.angelotofalo.com)

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L’INTIFADA DEI COLTELLI

L'INTIFADA DEI COLTELLI

L’ondata di violenza palestinese dopo Gerusalemme e Tel Aviv ha raggiunto anche i villaggi isolati, feriti e morti dunque intorno alle colonie in Cisgiordania e a Gaza, Israele è di nuovo in fiamme.

La debolezza del leader dell’Autorità palestinese ha lasciato di nuovo spazio all’aggressività di Hamas, la mancanza di speranza nel futuro ha alimentato nei giovani palestinesi la scelta radicale di tornare ad aggredire alla cieca i cittadini di Israele, attualmente la situazione è fuori controllo, gli ebrei sono il bersaglio da colpire, sia civili che militari, la paura cresce e con essa si allontana ancora una volta la possibilità di riaprire dei negoziati di pace.

Sembrerebbe un copione già scritto e già letto molte volte, ma questa volta l’analisi ci dice altro, il quadro nell’area medio orientale è cambiato. L’intervento russo ha rotto la stasi ed il perverso equilibro che i paesi del Golfo avevano organizzato sull’affaire Isis, ed ecco che per distogliere l’attenzione torna una nuova intifada con i palestinesi che usano i coltelli e gli Israeliani che difendono il territorio con l’artiglieria, la confusione politica oggi serve solo a Daesh e come d’incanto è arrivata.

Senza un intervento rapido ed efficace di Europa ed Usa per riaprire le trattative di pace tra Gaza e Gerusalemme, la situazione sarà  destinata a degenerare già nel prossimo mese di novembre.  

 

(immagine tratta da www.si24.it)

 

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