New Security Challenges
Hanno scelto Bruxelles perché è il simbolo dell’Europa che ha rinunciato ai suoi valori per una pace mai arrivata. Hanno scelto Bruxelles perché in Belgio i Jahidisti sono stati per anni tollerati fino ad avere una vera e propria egemonia etnica.
Hanno scelto Bruxelles perché gli apparati di sicurezza belgi in questi ultimi quattro mesi non hanno fatto passi avanti arretrando invece in termini di prevenzione. Oggi non possiamo più ascoltare i profeti televisivi che cercano le motivazioni sociali di islamici emarginati per giustificare un attentato e una strage, non siamo di fronte ad un ragazzo depresso che decide di farsi esplodere, non è così.
L’Europa, sbagliando, ha scelto di stringere alleanze strategiche con gli uni e con gli altri pensando che questo potesse portare alla pace ed invece siamo in guerra. Gli attentati di Bruxelles indicano chiaramente una vera e propria tattica di intervento pianificata da tempo e gestita con una catena di comando e controllo di formazione militare, la risposta all’attacco non può essere sempre e solo emozionale ed apparentemente dura per una settimana per poi trasformarsi in retorica fino al prossimo attentato. Occorre, invece, creare una intelligence coordinata in tutta Europa con condivisione delle banche dati, nuovi sistemi di difesa passiva degli obiettivi a maggior rischio, anagrafe della video sorveglianza nelle città, analisi attiva delle riprese video e massicce azioni preventive di controllo sugli ambienti culturali islamici che generano il radicalismo.
Frontex ed Europol lavorano ancora su data base separati, il Belgio ha sei corpi di polizia che non comunicano ed una intelligence incapace di infiltrarsi. Molenbeek è un ghetto di 90.000 persone di religione islamica totalmente impenetrabile dall’esterno ed è l’esempio di una Europa capace solo di generare ghetti etnici su cui non riesce ad avere alcun controllo. Dobbiamo,oggi, avere paura del futuro, ma dobbiamo anche essere pronti a difenderci con una vera strategia comune di intervento coordinata da un Fusion Center, letteralmente Centro di Fusione, incardinato su tre livelli: Politica – Intelligence – Militare che corrisponde rispettivamente alla decisione politica all’analisi strategica ed all’azione operativa. Occorre, inoltre, agire sullo scenario internazionale: non dobbiamo più strizzare l’occhio ad Arabia Saudita e Quatar che alimentano economicamente le correnti salafite, brodo di coltura del terrorismo islamico. A Bruxelles inspiegabilmente non sono state applicate le procedure di difesa previste durante un attacco terroristico un’ora dopo le bombe in aeroporto la metro non era stata chiusa, perché? Il filtro di polizia in borghese all’interno dell’aerostazione non c’era, perché? Il dubbio che una “Spectra” mondiale cerchi di instaurare un nuovo ordine esiste e se nelle prossime settimane il contrasto al terrorismo non si declinerà in azioni concrete, allora sarà più di un dubbio.
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Hanno scelto Bruxelles perché è il simbolo dell’Europa che ha rinunciato ai suoi valori per una pace mai arrivata. Hanno scelto Bruxelles perché in Belgio i Jahidisti sono stati per anni tollerati fino ad avere una vera e propria egemonia etnica.
Hanno scelto Bruxelles perché gli apparati di sicurezza belgi in questi ultimi quattro mesi non hanno fatto passi avanti arretrando invece in termini di prevenzione. Oggi non possiamo più ascoltare i profeti televisivi che cercano le motivazioni sociali di islamici emarginati per giustificare un attentato e una strage, non siamo di fronte ad un ragazzo depresso che decide di farsi esplodere, non è così.
L’Europa, sbagliando, ha scelto di stringere alleanze strategiche con gli uni e con gli altri pensando che questo potesse portare alla pace ed invece siamo in guerra. Gli attentati di Bruxelles indicano chiaramente una vera e propria tattica di intervento pianificata da tempo e gestita con una catena di comando e controllo di formazione militare, la risposta all’attacco non può essere sempre e solo emozionale ed apparentemente dura per una settimana per poi trasformarsi in retorica fino al prossimo attentato. Occorre, invece, creare una intelligence coordinata in tutta Europa con condivisione delle banche dati, nuovi sistemi di difesa passiva degli obiettivi a maggior rischio, anagrafe della video sorveglianza nelle città, analisi attiva delle riprese video e massicce azioni preventive di controllo sugli ambienti culturali islamici che generano il radicalismo.
Frontex ed Europol lavorano ancora su data base separati, il Belgio ha sei corpi di polizia che non comunicano ed una intelligence incapace di infiltrarsi. Molenbeek è un ghetto di 90.000 persone di religione islamica totalmente impenetrabile dall’esterno ed è l’esempio di una Europa capace solo di generare ghetti etnici su cui non riesce ad avere alcun controllo. Dobbiamo,oggi, avere paura del futuro, ma dobbiamo anche essere pronti a difenderci con una vera strategia comune di intervento coordinata da un Fusion Center, letteralmente Centro di Fusione, incardinato su tre livelli: Politica – Intelligence – Militare che corrisponde rispettivamente alla decisione politica all’analisi strategica ed all’azione operativa. Occorre, inoltre, agire sullo scenario internazionale: non dobbiamo più strizzare l’occhio ad Arabia Saudita e Quatar che alimentano economicamente le correnti salafite, brodo di coltura del terrorismo islamico. A Bruxelles inspiegabilmente non sono state applicate le procedure di difesa previste durante un attacco terroristico un’ora dopo le bombe in aeroporto la metro non era stata chiusa, perché? Il filtro di polizia in borghese all’interno dell’aerostazione non c’era, perché? Il dubbio che una “Spectra” mondiale cerchi di instaurare un nuovo ordine esiste e se nelle prossime settimane il contrasto al terrorismo non si declinerà in azioni concrete, allora sarà più di un dubbio.
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Secondo indiscrezioni interne la nostra intelligence sta preparando varie opzioni di intervento che devono obbligatoriamente considerare i maggiori fattori di rischio per una missione in Libia con truppe di terra.
Tripoli e le zone limitrofe vengono gestite dal governo locale con una apparente normalità, nelle principali città, le amministrazioni locali permettono una vita sociale con stabilità, ma è difficile capire chi comanda davvero.
Khalifa Al Ghwell governa supportato da una propria milizia con l’appoggio esterno della Fratellanza Musulmana e con i berberi di Zuwarahi, ma non è solo al comando, c’è anche Hashim Bishr con la sua numerosa polizia privata in grado di spostare a suo piacimento le alleanze ed i rapporti di forza in Tripolitania.
Infine, c’è Abdul Raouf Kara, uomo forte dell’ area, rigido salafita e nemico di Daesh, a capo di una significativa milizia “la rada Forces ” letteralmente (forze di deterrenza) .
Sono questi tre uomini che determinano la stabilità in relazione ai propri interessi, e con loro occorre trovare un solido accordo prima di entrare nel territorio libico.
Le città intorno a Tripoli sono invece ostaggio delle varie tribù, formalmente alleate, ma sempre pronte a rinnegare ogni patto per procedere singolarmente con attività militari che possono creare vantaggi.
Infine, problema non trascurabile l’unico aeroporto utilizzabile è quello di Mitiga, controllato da Kara, quindi un’intesa con lui diventa una priorità assoluta.
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Attualmente in Libia sono presenti dai 4200 ai 4600 uomini dello stato islamico, quasi tutti di nazionalità tunisina quindi profondi conoscitori del territorio e delle odierne dinamiche sociali libiche.
Ci sono invece dai 23000 ai 27000 uomini organizzati in bande criminali che, disinteressandosi del lato politico, diventano fiancheggiatori dei terroristi a seconda delle convenienze.
In questa ottica alcune attività vengono appaltate da Daesh alla criminalità organizzata.
Inoltre, da Sudan, Nigeria e Mali, si stanno spostando numerosi uomini aderenti alla jihad del centro Africa per unirsi a Daesh dietro compenso economico.
Il numero di queste nuove forze terroristiche è quantificabile per difetto in 2500/3000 unità.
Questi sono i numeri per quanto riguarda la stabilità del paese possiamo considerare che la sicurezza interna è totalmente fluida ed in divenire, alcuni giorni il controllo del territorio è stabilmente nelle mani di una compagine, altri giorni no, la sicurezza della viabilità è quindi inesistente, anche percorrere 50 kilometri da Sabratha verso Tripoli può considerarsi un ‘ impresa impossibile.
In questo scenario una missione a guida italiana rappresenta un azzardo strategicamente poco utile.
Occorre, prima di pensare qualsiasi intervento, cercare con azioni di intelligence un accordo globale con tutte le fazioni in campo che di fatto combattono Daesh senza escludere nessuno.
Nelle prossime settimane gli auspicati accordi devono essere portati a termine altrimenti l’Italia sarà inutilmente esposta a rischi senza ottenere alcun risultato stabilizzate.
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La battaglia della notte nella capitale del Burkina Faso conferma le preoccupazioni delle scorse settimane.
Il terrorismo di matrice islamica oltre a globalizzare propaganda e azioni a basso impatto è riuscito a creare un vero e proprio net per il cosiddetto terrorismo molecolare che, anche se solo ispirato, riesce autonomamente ad organizzare attentati ovunque.
La tattica utilizzata ad Ouagadougon ricalca le azioni dei talebani in Afganistan, si fanno esplodere due o tre macchine per distogliere l’attenzione dall’obiettivo e, mentre arrivano i primi soccorsi, si entra in azione con piccoli team armati, in genere con fucili d’assalto.
L’effetto sorpresa gioca un ruolo determinante anche se oggi parlare di sorpresa è ridicolo, siamo tutti ovunque bersagli soprattutto nei luoghi di aggregazione per stranieri.
Applicare i protocolli standard di difesa passiva contro le azioni terroristiche deve diventare un obbligo dottrinale, come per esempio il divieto di far parcheggiare le auto accanto ad un edificio classificato sensibile.
Nei prossimi mesi sono prevedibili attacchi in Italia nei centri commerciali ed in Australia, proprio per dimostrare la capacità di saturazione dello scenario internazionale da parte dei gruppi jihadisti.
Nel nostro Paese le misure di difesa sono attive e di alto livello e dobbiamo, quindi, non cedere alla paura indiscriminata che comprime le libertà personali dei cittadini.
Per fronteggiare, poi, l’attuale crisi in nord-Africa, l’Aeronautica Militare Italiana ha spostato da Istrana a Trapani quattro cacciabombardieri Amx che, insieme agli Eurofighter già basati nell’aeroporto siciliano, rappresentano il gruppo di intervento nella prevista missione in Libia.
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Non chiamiamolo Stato, non lo è, non chiamiamoli combattenti sono solo assassini, utilizziamo un linguaggio settoriale che a livello semantico riduca la popolarità di questo N.I.S. (Non Stato Islamico) perché io lo chiamerò non stato islamico e lo scriverò sempre minuscolo.
Si dice in questi giorni che il terrorismo sia figlio delle periferie degradate del nord Europa, delle carceri disumane di Francia e Belgio, delle troppe guerre ingiuste combattute nel mondo, della mancata integrazioni degli immigrati di seconda e terza generazione, della non accettazione della religione Islamica che si professa moderata.
Forse si, le situazioni descritte sono concause residuali di un problema che deve però, essere affrontato con un diverso pragmatismo.
C’è chi prega e c’è chi spara.
Chi prega, liberamente pratica la propria religione.
Chi spara su civili al ristorante, al bar, al teatro è solo un assassino che esercita la violenza su uomini e donne disarmati e indifesi strumentalizzando alla politica la propria fede religiosa.
La situazione è questa non servono ulteriori particolari valutazioni, non serve invocare l’indignazione dell’Islam moderato, moderato, poi, per chi per cosa.
L’islam è uno e come tutte le altre religioni monoteiste non si può considerare una confessione che accoglie in se, anche se con diverse interpretazioni, gli assassini e i pacifisti.
Usciamo dall’equivoco, dagli assassini ci si difende, tutto il resto è retorica.
Con gli assassini si utilizza l’intelligence , quella vera, quella che in silenzio e nell’ombra bonifica i quartieri delle capitali Europee, quella che non si vede in TV, quella che purtroppo non c’era a Parigi e Bruxelles.
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In una Europa senza univoche strategie di prevenzione al terrorismo la Francia subisce un attacco senza precedenti con un bilancio di oltre 100 morti e numerosissimi feriti.
I fatti li abbiamo visti tutti sui media e ricalcano le tattiche di guerriglia dei palestinesi di alcuni mesi fa in Israele, naturalmente con altri mezzi e altri danni. Gli attacchi sono preceduti da un forte orientamento all’odio attraverso il web, l’azione è sincronizzata su varie zone della città in obiettivi non sensibili e a basso impatto politico, quindi non vengono scelti luoghi presidiati, ma posti dove si aggrega la gente comune per rilassarsi, ristoranti,teatri, lo stadio. La missione è fare più vittime innocenti possibili in poco tempo per inoculare nella popolazione il condizionamento al terrore.
I terroristi avevano certamente un buon addestramento basico all’uso delle armi e comunque votati al martirio, certamente combattenti di ritorno dalle aree di crisi e totalmente indottrinati alla jihad.
Perché ancora Parigi perché ancora la Francia, perché semplicemente è la nazione europea maggiormente infiltrata dall’integralismo islamico, è il paese che più di altri è stato ed è territorio europeo di reclutamenti del califfato ed è inoltre la location dove, da oltre 10 anni, si predica, nelle periferie abbandonate, il diritto degli islamici di terza generazione ad uccidere i cosiddetti infedeli.
Non dimentichiamo la battaglia parigina delle banlieu dove migliaia di giovani immigrati francesi di religione islamica, per giorni, hanno combattuto una vera e propria guerriglia urbana con le forze dell’ ordine in una zona franca, diventata negli anni l’ humus ideale per reclutare uomini e donne da arruolare nell’ esercito del califfato.
Su Parigi incombe poi anche una storica alleanza di più gruppi terroristici jihadisti che riescono, con grande facilità, a coordinarsi ed ad agire quasi indisturbati in Francia, facendo leva emotiva proprio dalle azioni di politica estera interventista che il governo transalpino ha in medio oriente, nel Magreb e nel centro Africa. Questi, in sintesi, i motivi di un attacco annunciato che completa nel venerdì di preghiera arabo i precedenti attacchi agli sciiti in Siria, Iraq e giovedì in Libano con oltre 40 morti. Sigillare le frontiere diventa ormai necessario almeno per monitorare gli ingressi e le uscite .
Bisogna uscire dalle retorica buonista, che paralizza le necessarie risposte repressive europee, ed esercitare un vero controllo di intelligence sull’ espansione dell’ Isis e degli altri gruppi, basta con le chiacchiere inutili che ci raccontano che occorre comprendere i motivi delle azioni terroristiche, occorre impedire fisicamente nuovi attacchi, occorre fermare l’ espansione di Daesh in Siria ed Iraq , occorre una strategia comune di intelligence per mettere in sicurezza l’ Europa, occorre coinvolgere attivamente la Russia in questo percorso, altrimenti ci troveremo ancora a piangere vittime innocenti.
(immagine tratta da www.angelotofalo.com)
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